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A questo punto del mio racconto, uno dei presenti scoppiò a ridere ed esclamò: «Era come l'orso di P.».
Quest' ultimo, come sempre, sollevò le spalle sdegnosamente: «Chi ride provi a catturarne uno come il mio».
Io continuai e li condussi sull'alpe dei Campelli, verso un altro grande rifugio degli orsi. Una sera, Domenico aveva sentito una delle sue capre strillare disperatamente.
Si sentì spezzare il cuore e non poté più restare nella sua baita.
Prese una scure ed andò a vedere.
Un orso aveva gettato in terra una capra e stava per divorarla.
Domenico afferrò una gamba della capra e tentò di strapparla all'orso.
L'orso teneva duro e l'altro tirava sempre.
Ma infine Martin trovò la farsa un po' troppo lunga.
Con una zampata fece rotolare per terra Domenico, la schiena aperta, e se ne andò
con la sua capra.
Domenico porta ancora la traccia della carezza orsina ma da buon filosofo, dice: «Se avesse voluto, avrebbe potuto mangiarmi come ha mangiato la mia capra» e siccome Martin non lo fece, Domenico ha conservato un eccellente ricordo degli orsi.
In Val Cervia gli orsi avevano trovato un terribile nemico.
Non li affrontava con il suo fucile, ma tendeva loro delle trappole.
Enormi tagliole in ferro, fissate con catene, erano tese nei boschi.
Si racconta che 11 orsi vi hanno lasciato la pelle.
Un grosso orso, preso nelle zampe posteriori, s'era talmente dibattuto che era caduto a testa in giù, lungo le rocce a picco sospeso alla trappola.
I suoi ululati di dolore erano così forti che si udirono per tutta la notte fin all'altra sponda della vallata.
Ma gli orsi hanno, come gli uomini, qualcuno che li vendica.
Parecchi anni dopo, in una di queste trappole, fu preso il figlio del cacciatore e ne ebbe la gamba spappolata.
Gli orsi erano vendicati.
Ma laggiù, sulla costa del Legnone, gli orsi erano feroci e burloni: tutti ne hanno sentito parlare.
Per molto tempo Legnone ed orsi sono stati una cosa sola.
Mi sembra ancora di vedere l'enorme bestia dalla pelliccia pressoché nera che s'era lanciata contro due cacciatori ferendone gravemente uno prima di capitolare sotto i colpi dell'altro.
Un altro orso se n'andava tranquillo un giorno lungo un sentiero della Val Lesina, quando incontrò un toro.
Il sentiero era così stretto che i due animali si fermarono fissandosi negli occhi.
Poi l'orso si leccò le labbra: da molto tempo non gli era capitato sotto le unghie un simile boccone!
Si drizzò grugnendo sulle zampe posteriori e si gettò sul toro, ma quest' ultimo, più agile, abbassò la testa e con un abile cornata inchiodò l'avversario contro le rocce aprendogli il ventre.
Il povero Martin lasciò cadere sul petto la sua grossa testa dagli occhi spenti, ma rimase diritto perché il toro, nel timore che fosse ancora vivo, lo teneva inchiodato alle sue corna.
Alcuni dicono che il toro è rimasto nella stessa posizione fino a morir di fame ma altri assicurano che i pastori lo liberarono tre o quattro giorni dopo guadagnandosi la pelle dell'orso.

 

dal libro "GIOVANNI BONOMI Guida Alpina" di Marino Amonini
ed. Biblioteca Civica di Piateda, 1985
traduzione dal libro del Prof. Bruno Galli Valerio "Cols et Sommets" Losanna e Parigi 1912